Il bambino tarda a parlare? Ecco i campanelli di allarme per sospettare una reale difficoltà

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Cari mamme e papà,

spesso molti di voi vedendo che il loro bambino tarda a parlare si chiedono se sia “realmente” in difficoltà oppure se “ha solo bisogno del suo tempo” o, ancora, se “è solo pigro”.

Lo sviluppo comunicativo-linguistico, in assenza di patologie o ritardi dello sviluppo che lo impediscano o rallentino, è possibile grazie a strutture (organi), capacità innate peculiari e caratteristiche dell’Uomo ed all’interazione con l’ambiente.

Conoscere le tappe evolutive per comprendere se ci sono difficoltà

Esistono delle “tappe evolutive”, cioè momenti precisi della crescita del bambino, in cui vengono acquisite competenze ed abilità specifici, ogni tappa è necessaria affinché il bimbo possa giungere alla successiva. Per comprendere se sia presente una eventuale difficoltà comunicativo-linguistica è importante osservare il bimbo ed i suoi comportamenti e l’interazione con l’ambiente. 

Per poter osservare quindi la “capacità di parlare” del nostro bimbo dovremo fare attenzione già allo sviluppo della “comunicazione non-verbale “(ovvero tutto lo scambio di messaggi ed emozioni che avviene in assenza di parole ma attraverso la mimica facciale, i gesti, l’intonazione della voce ed il linguaggio del corpo in generale) che avviene entro il primo anno di vita del bambino. 

La comunicazione non-verbale precede e favorisce lo sviluppo del linguaggio ed in sua assenza le “parole” non possono svilupparsi. 

L’evoluzione comunicativo-linguistico

Vediamo ora la naturale evoluzione comunicativo-linguistico

La comunicazione non – verbale

Già nei primissimi mesi è presente un interscambio ed una fortissima interazione con gli altri, il bimbo comunica col pianto e col sorriso. A 3 mesi di vita il bambino impara a riconoscere il proprio nome e rivolge il suo sorriso scegliendo verso chi rivolgerlo (sorriso sociale). Entro i 6 mesi di vita si volterà al suo nome, periodo nel quale comincia a condividere la sua attenzione fra l’“oggetto” desiderato ed il genitore, purché siano entrambi presenti e visibili. 

Fino a questo momento la comunicazione del bambino è stata una comunicazione non intenzionale cui viene data una intenzionalità dall’ambiente circostante ma intorno agli 8-13 mesi produce dei segnali per raggiungere uno scopo: questo è il periodo in cui i bimbi cominciano ad utilizzare i gesti per indicare, richiedere, dare e mostrare (es. indica un gioco sul divano e guarda alternativamente il genitore ed il gioco finché questi non interviene per darglielo).

E le parole? I genitori lo riconoscono sempre il momento in cui il proprio figlio ha “iniziato a parlare”, ha qualcosa di emozionante.

Vocalizzazione e lallazione

Le vocalizzazioni e la lallazione emergono sin da piccolissimi (5-6 mesi). L’emergenza della lallazione è favorito dallo svezzamento e seduta sul seggiolone ed in questo periodo sono prodotte stringhe sonore simili alle “parole”. Questa appena descritta viene chiamata lallazione canonica seguita da quella variegata (10-12 mesi) caratterizzata da suoni più varie e sequenze più lunghe (es. mamame, pataga). Questi “giochi di lallazione” si accompagnano alla capacità di imitare le parole vere e proprie che compaiono tra 12-13 mesi, soprattutto in situazioni ritualizzate, ad esempio di bisogno e i piccoli cominciano a dare un nome ad oggetti presenti (sono da considerarsi parole anche le onomatopee), è anche l’epoca in cui il bimbo comincia a camminare.

Le prime frasi

Fra i 18-24 mesi il vocabolario si espande velocemente (viene chiamata prima esplosione del vocabolario) e compaiono le prime frasi. Tra i 3-4 anni si completa lo sviluppo della grammatica.

Queste tappe evolutive corrispondo ad età determinate, conoscerle ci aiuta a comprendere se, quanto e come il bimbo sia in difficoltà. Ricordiamo però che esiste un “tempo di tolleranza” entro il quale le competenze possono essere raggiunte, proprio per questa ragione, prima di proseguire è necessario ribadire che ogni bimbo ed ogni persona sono unici nel loro genere ed hanno modalità e tempi differenti di evoluzione, di crescita e di apprendimento necessari per raggiungere gli “obiettivi di crescita” (es. camminare, togliere il pannolino, mangiare da solo, parlare, ecc.).

Campanellini di allarme

Vediamo adesso quali sono i “campanellini d’allarme” in generale per sospettare una difficoltà comunicativo-linguistica (i “campanellini d’allarme” non devono essere considerati come elementi che in sé stessi facciano diagnosi e dicano che è presente una patologia, cosa che può essere acclarata dagli specialisti, ma sono degli elementi che ci indicano che sia possibile un vero e proprio ritardo o disturbo).

  • Nascita pretermine
  • Difficoltà di attaccamento o suzione al seno
  • Il bimbo non si volta al proprio nome (entro i 6 mesi)
  • Assenza o scarsa lallazione (6-10 mesi)
  • Difficoltà nello svezzamento e di accettazione di nuovi sapori e consistenze
  • Ritardo di comparsa di “gesti di indicazione” e “gesti parola”
  • Ritardo nella produzione delle prime parole talvolta però non si tratta di un ritardo ma di una produzione di parole molto limitata e povera (12 – 15) 
  • < 50 parole prodotte fra i 18-20 (a 24 mesi indice di rischio vero e proprio)
  • Assenza di combinazione di parole a 36 mesi

In presenza di questi “campanelli d’allarme” risulta necessario consultare il proprio Pediatra ed eventualmente un Logopedista. Ribadendo che un singolo “campanello d’allarme” non possa in alcuna misura essere sinonimo di diagnosi questo può indirizzare il genitore verso una analisi più accurata ed approfondita da parte dei sanitari nei confronti del bambino ma soprattutto serve a voi, mamme e papà, per attenzionare la difficoltà del vostro piccolo o della vostra piccola.

Solo mettendo in relazione gli elementi all’interno di una storia (clinica) ciò è possibile.

Essere e fare i genitori è difficile ma non siete soli.

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